Case di comunità nate dal basso per vera medicina del territorio
Riportiamo un articolo del quotidiano Avvenire, a firma di Silvio Garattini (fondatore e presidente dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs), pubblicato sul giornale e nella versione on line nella giornata di mercoledì 20 aprile 2022
Case di comunità nate dal basso per vera medicina del territorio
Per realizzare le aspettative delle nuove strutture è necessario concentrarvi tutte le attività esistenti: dalle sanitarie alle sociali, dalle comunali a quelle del Terzo settore
Il Covid-19 ha messo in grande risalto ciò che già si sapeva, una forte tendenza ospedalocentrica del nostro pur invidiabile Servizio sanitario nazionale (Ssn). Si sta sviluppando perciò una grande attenzione alla medicina del territorio perché è chiaro che i medici di medicina generale (Mmg) non possono singolarmente operare, nell’ambito di una medicina che diventa sempre più complessa, senza strutture di un certo livello e con un impegno temporale inadeguato. Esistono molti pareri, e anche molti interessi, nel definire le funzioni e i ruoli di queste strutture del territorio, che non dovrebbero ignorare quanto di buono è stato già fatto in modo sperimentale in alcune Regioni.
Può essere tuttavia utile stabilire alcune premesse. Anzitutto queste strutture, comunque si vogliano chiamare, devono essere pubbliche o realizzate da gruppi non-profit. Bisogna evitare l’avvento del ‘privato’ perché il profitto determina un mercato che dovendosi sempre ingrandire non è favorevole alla salute privata e pubblica. Un secondo aspetto riguarda la necessità di evitare formule uniche eguali per tutto il Paese. Vanno stabilite delle attività, ma come realizzarle dipende dal contesto, urbano o di montagna, cioè in zone con alta o bassa densità di popolazione. Un terzo punto riguarda un atteggiamento che non ritenga di sapere già in partenza come fare. Occorre, invece, pensare che le Case di comunità vanno costruite dal basso correggendo gli errori, ascoltando le richieste dei cittadini, integrando aspetti sanitari e sociali.
Sarebbe un errore pensare che tutto si possa realizzare in tempi rapidi. Se vogliamo che siano efficienti ci vorranno alcuni anni. Infine, non va dimenticato che nel prossimo futuro avremo una carenza di medici, di infermieri e di operatori sanitari. Per questo sarà necessario aumentare le strutture formative, avere tutto il personale a tempo pieno e dipendente dal Ssn, nonché aumentare gli stipendi che sono fra i più bassi d’Europa. Per realizzare le aspettative delle Case di comunità è necessario concentrarvi tutte le attività esistenti nel territorio: dalle sanitarie alle sociali, dalle comunali a quelle del Terzo settore (leggi: volontariato e cooperazione sociale).
Le funzioni, non certo facili perché molteplici e da integrare, possono essere così riassunte:
1) La prevenzione, un’attività fondamentale ed essenziale per la sostenibilità del Ssn. Molte malattie croniche (cardiovascolari, polmonari, renali, diabete di tipo 2 e la maggioranza dei tumori) sono evitabili attraverso le buone abitudini di vita. Le Case di comunità devono essere il veicolo principale a sostegno delle auspicate campagne di prevenzione nazionali e regionali. Ridurre fumo, alcol, droghe, utilizzare una alimentazione varia ma moderata. Non aumentare di peso, esercitare attività fisica e intellettuale, almeno 7 ore di sonno e quant’altro. Tutti sappiamo cosa fare, ma non lo facciamo perché manca una convincente informazione, manca una educazione scolastica e prevale invece il mercato della medicina che, utilizzando in modo ambiguo la pubblicità, vuole medicalizzare la nostra società.
2) Un filtro. Un’efficiente medicina del territorio può rappresentare un significativo filtro per i pronto-soccorso che oggi sono invasi da pazienti con problemi minori a svantaggio di chi ne ha veramente bisogno. Deve essere anche un filtro verso i ricoveri ospedalieri attraverso la realizzazione di rapporti fra territorio e ospedale, oggi quasi inesistenti, per la mancanza di fiducia fra i rispettivi operatori.
3) Il socio-sanitario. Vuol dire creare un rapporto più stretto fra Case della comunità e interventi domiciliari. Le malattie croniche che possono essere gestite a domicilio hanno bisogno di una integrazione fra operatori sanitari e sociali, pubblici e del Terzo settore. Molti interventi si possono realizzare a domicilio con particolare riferimento alla necessità di assicurare aiuto ai malati mentali oggi abbandonati nelle famiglie.
Per realizzare queste finalità c’è bisogno di personale che abbia un’adeguata formazione. Occorrono più Mmg che si integrino con più specialisti, presenti nei poliambulatori, e con i pediatri di famiglia, in modo da assicurare, gradualmente, ambulatori aperti 7 giorni alla settimana e 24 ore al giorno. Accanto ai medici devono operare ostetriche, infermieri, psicoterapeuti e assistenti sociali in numero proporzionale ai medici presenti e alle caratteristiche del territorio. Occorre una efficiente segreteria con un buon sistema informatico collegato a quello regionale per avere a disposizione i dati di tutti i cittadini stratificati per stato di salute. Inoltre dovrebbero prenotare esami diagnostici e ricoveri. Le Case di comunità dovrebbero avere apparecchiature per le analisi di routine e inoltre un sistema di telemedicina che risponda a varie esigenze: eseguire esami in remoto, comunicare con gli ammalati e i loro familiari, interagire con gli specialisti ospedalieri.
Se questi sono sintetici appunti riguardanti il ruolo che dovrebbero avere nel tempo le Case di comunità, è chiara la necessità di una programmazione a cui segua una organizzazione che necessita a livello delle Regioni di manager orientati prevalentemente ai risultati anziché al rispetto delle procedure. Il cammino è lungo, ma va iniziato con il piede giusto invitando medici, operatori sanitari a partecipare insieme alla costruzione delle Case di comunità. Non si otterrà nulla di buono senza una partecipazione collettiva.