Casa della comunità: diamo il senso alle parole
Un nostro intervento su Quotidiano Sanità nel dibattito stimolato dall’articolo di Claudia Zamin: “Quando il senso di appartenenza alla comunità vacilla”
Gentile Direttore,
ci colleghiamo allo stimolante contributo di Claudia Zamin del 13 marzo 2024 “Quando il senso di appartenenza alla comunità vacilla” e vorremmo sottolinearne l’aspetto della relazione come elemento costitutivo della persona.
L’esperienza di vita di ognuno si sviluppa all’interno di relazioni, di incontri, di scambi da cui ricava lo stesso essere come persona, la sua costruzione e il suo benessere. E le istituzioni, tutte le istituzioni (quelle che potremmo in una parola condensare nel welfare), sono costrutti sociali finalizzati a favorire le condizioni affinché questo avvenga in un sistema di convivenza favorevole. Sono espressione concreta della democrazia perché dovrebbero garantire uguaglianza, inclusione, reciprocità, valorizzazione di ogni risorsa. Il risultato finale è (o dovrebbe essere) la salute nella sua accezione più pregnante di benessere (di ben vivere come lo declinano i brasiliani). Sono soprattutto i suoi membri a definirla attraverso un “noi” condiviso come dimensione esistenziale di ogni persona: questa è la “comunità” come dimensione dinamica, aperta, in ricerca e capace di valorizzare tutte le potenzialità. La Casa della Comunità come infrastruttura sociale dovrebbe poter rappresentare il luogo simbolico di tale percorso condiviso verso la salute, che diventa bene comune. Le parole hanno un significato preciso per ognuno e quando si parla di casa si evocano idee di famiglia/comunità, sicurezza/garanzia, di integrità/identità, relazione e di unità coinvolgendo in tal modo sia il livello intrapsichico, che quello interpersonale, che quello sociale e in questo senso il “della” è discriminante.
Siamo ad un bivio; la casa della Comunità è una delle tante “fabbriche” che ha un prodotto che sono le prestazioni da erogarsi secondo i criteri del mercato capitalistico oppure è luogo abitato, riconosciuto e alimentato dalla comunità, centrato sui bisogni della comunità stessa. È questa seconda opzione che ci interessa realizzare riconsegnando alle persone la possibilità di costruire un disegno di salute consapevole in una società che sappiamo avere favorito percorsi di delega e di dipendenza. Sia chiaro, le istituzioni sono una risorsa ma sono loro che hanno bisogno dei cittadini per essere legittimate e per definire in modo dinamico un ruolo che va cucito su misura della comunità, non viceversa. Il sistema di welfare è stato in questi anni sostitutivo per molti versi e non ha costruito consapevolezza. La pandemia ha evidenziato sia i limiti di questo e nello stesso tempo le potenzialità: un po’ di umiltà istituzionale potrebbe favorire responsabilità e consapevolezza rispetto ad un disegno di salute reale. Perché non si è in salute solo quando non si è ammalati ma anche quando si è poveri, si vive in contesti ambientali inospitali, il lavoro è precario, non vi è adeguata formazione ecc … la complessità del disegno di salute impone una ricomposizione recuperando il valore esistenziale dell’essere parte di una comunità di destino.
Il DM 77/22 non apre questi spazi, ignora nei fatti il ruolo centrale dell’ente locale riferimento essenziale per una ricomposizione sociale e una governance della complessità. Continua a pensare per schemi settoriali ed è paradossale che richiami le scommessa WHO dell’ONE HEALTH. Se la salute è un disegno unitario diventa essenziale contribuire a ricostruire connessioni e ridare dignità a quanto nella comunità contribuisce alla salute (dalla scuola, alla cultura, al lavoro, alle relazioni, alla qualità dell’abitare).
È una scommessa culturale e politica insieme. La casa della Comunità è una rete di reti, un “connettore sociale” dove anche un luogo fisico si ri-dimensiona all’interno di questa rete. La casa della Comunità cioè non è una questione di ingegneria strutturale soltanto ma un cambio di paradigmi. Anche parlare di cittadini e non di pazienti/utenti/assistiti, di servizio come relazione che ha cura, di salute e non di sanità, di patto e non solo di prestazioni da incrementare … e forse in una dimensione di coerenza parlare di WHO come Organizzazione Mondiale della Salute (perché “health” non è solo sanità come l’Organizzazione mondiale ha dimostrato nei fatti ricordandoci la complessità del prisma salute”). L’Associazione “Prima la Comunità” è convinta che sia possibile un altro welfare e la Casa della Comunità ne sia un possibile strumento. Perché la ricchezza della vita sociale può essere accompagnata e favorirne l’esplosione nel rispetto delle specificità.
Associazione Prima la comunità