Con la Bottega del possibile nasce l’Osservatorio Case della comunità di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta
La Bottega del Possibile, associazione torinese di Torre Pellice che ha come finalità la diffusione della cultura della domiciliarità oltre che essere realtà aderente a Prima la comunità, realizzerà un’attività di “Osservatorio” regionale delle Case della comunità che opereranno in Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria. L’iniziativa sarà resa possibile grazie al sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo a cui il progetto è stato presentato.
Ne abbiamo parlato con il presidente de La Bottega del Possibile, Salvatore Rao (nella foto).
In cosa consiste l’idea di questo “Osservatorio”?
L’intento è provare a verificare come le diverse normative delle tre regioni prese in esame daranno attuazione operativa alle Case della comunità attenendosi al disegno organizzativo e operativo stabilito dal cosiddetto DM 71. In pratica, andremo ad appurare come le Case della comunità si avvicineranno o resteranno distanti dal modello che abbiamo contribuito a definire all’interno del lavoro fatto come Prima la comunità.
Come pensate di strutturare l’attività?
Affideremo il lavoro al nostro Centro di documentazione dedicando una risorsa specifica. Ci baseremo sull’esperienza, già in essere, della raccolta di buone pratiche sul fronte del sostegno alla domiciliarità. Rispetto alle tempistiche prevediamo un impegno che si svilupperà da qui alla primavera del prossimo anno. Inoltre, rivolgeremo uno sguardo anche a Toscana ed Emilia Romagna dove l’osservazione riguarderà anche un raffronto con le Case della salute presenti in quelle regioni.
Qual è l’obiettivo concreto che il vostro ‘”Osservatorio” si prefigge?
La nostra finalità ultima è mettere a disposizione delle istituzioni i risultati del nostro monitoraggio. Pensiamo di promuovere, al termine del progetto, un seminario di confronto sulle Case della comunità dove discutere di quanto sarà stato fatto nelle tre regioni coinvolte. Fondamentale sarà il rapporto con Prima la comunità e con il suo impegno a promuovere un osservatorio di Case della comunità a livello nazionale. Il fine comune è favorire il più possibile lo scambio delle esperienze e accompagnare i territori verso un modello di Case della comunità in linea con quanto proposto da Prima la comunità.
Quali sono gli indicatori più significativi che utilizzerete per analizzare le Case della comunità?
È chiaro che esamineremo le Case della comunità di Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria secondo i criteri su cui ormai da tempo ci stiamo confrontando all’interno di Prima la comunità. Primo fra tutti, il fatto che nelle Case della comunità dovranno trovare spazio i servizi sociali e tutte quelle realtà territoriali che possono contribuire al progetto di salute della persona e della comunità. Pertanto, nella sede fisica della Casa della comunità ci aspettiamo trovino spazio tutti questi soggetti oltre a quelli previsti dal DM 71. Un altro punto che vaglieremo è relativo al processo di governance che potrà garantire l’integrazione con il sociale per non limitarsi a quanto stabilito dai percorsi diagnostici-terapeutici-assistenziali di contrasto alla cronicità previsti dal Piano nazionale. In sintesi, vorremmo misurare come le Case della comunità saranno capaci di compiere quella rivoluzione di paradigma “dalla sanità alla salute” che è ciò che ci ha uniti in Prima la comunità.
A che punto siete con l’avvento delle Case della comunità in Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria?
Le Regioni hanno deliberato il numero delle Case della comunità e hanno anche indicato alcune sedi in cui troveranno spazio. Quindi a oggi sappiamo quante se ne faranno e grossomodo dove si faranno. Non ci sono né piani di operatività né una definizione più dettagliata delle caratteristiche. Auspico si faccia presto perché le Case della comunità sono la più grande scommessa della riorganizzazione del sistema territoriale dei servizi.