Proposta di un “Sistema Nazionale di Assistenza”: i rilievi di Prima la comunità
Lo scorso 1 marzo, le realtà che fanno parte del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, cui aderisce anche la nostra associazione, hanno presentato il documento “Proposte per l’introduzione del Sistema Nazionale Assistenza Anziani“.
Ecco qui di seguito riportata la posizione, nel merito, di Prima la comunità.
Nel luglio del 2021 abbiamo aderito come Associazione “Prima la Comunità”, in modo convinto, alla proposta di un Patto per la non autosufficienza: è nota ad ognuno di noi l’insufficienza e l’inadeguatezza del nostro sistema dei servizi nel fornire risposte appropriate e adeguate nei confronti di coloro che vivono in una condizione di non autosufficienza.
IL PNRR prevede due riforme separate, per adulti e per anziani, e questo certamente è un limite, ma intanto si poteva cominciare. L’analisi dell’esistente, i contenuti e le possibili alleanze erano una garanzia per un dibattito approfondito e per possibili aperture verso un cambiamento, sia di prospettiva che di organizzazione dei percorsi di cura.
Tre temi contenuti nella proposta: la scelta della domiciliarità come principio che riconosce la dignità della persona nella sua ricchezza, storia e valori e il suo essere cittadino per tutta la sua esperienza di vita; la definizione di una rete di sostegno alla domiciliarità (che non si esaurisca con l’Assistenza domiciliare) in relazione alla condizione di fragilità; il governo unitario della rete, in una logica di lavoro interdisciplinare e multi-professionale che per noi trovava espressione concreta nella Casa della Comunità.
Il Patto, grazie alle adesioni che ha raccolto e all’iniziativa sul piano politico che ha saputo promuovere, è riuscito a far sì che nel PNRR venisse previsto il varo della riforma per la non autosufficienza. Se oggi ci confrontiamo su questo tema e dibattiamo sui contenuti che dovrà avere tale riforma è certamente per merito del Patto.
Il cammino di riflessione è stato intenso e ricco di spunti e approfondimenti, con evidenti differenze di sensibilità e di opzioni legate sia alla storia dei partecipanti che ai diversi interessi in campo. D’altra parte, se si osserva la ampia platea degli aderenti, se ne colgono immediatamente storie e punti di vista, legittimi e comunque risorse necessarie per una sintesi. Anche le nostre posizioni, portate nei diversi gruppi di lavoro, sono state vagliate per arrivare poi a mediazioni che magari non sempre ci hanno soddisfatto.
Il 1° marzo è stato reso pubblico il documento (vedi qui), che abbiamo condiviso: è proposta unitaria per contribuire al varo della tanto attesa riforma per la non autosufficienza.
I contenuti prefigurano un cambiamento rispetto all’attuale sistema, con sostanziali miglioramenti per le persone che vivono in condizione di fragilità, per le loro famiglie e i caregiver in generale.
Si devono registrare vincoli normativi importanti: il più importante dei quali è probabilmente rappresentato dalla separazione delle competenze tra i Ministeri (soprattutto del Lavoro e della Salute) che rende arduo un cammino basato su una visione unitaria della persona e dei suoi bisogni. Molte indicazioni operative si basano pertanto su auspici e su una speranza di una necessaria e possibile sintesi a livello parlamentare. Viene in questa direzione indicata la necessità di una elaborazione congiunta del piano nazionale per la non autosufficienza, nonché, la definizione e la regolazione integrata e contestuale dei LEA e dei LEPS.
La proposta si caratterizza sull’attivazione di un sistema nazionale, su una rete integrata delle risposte, su un impianto orientato alla preminenza alla domiciliarità come condizione per superare la rigidità attuale dei setting di cura. Favorisce, inoltre, l’emersione del lavoro di cura delle Assistenti Familiari, che oggi è svolto nell’ombra e anche nell’irregolarità, e riconosce e valorizza il lavoro di cura informale svolto dai familiari e dai caregiver.
Una proposta che ribadisce la necessità di un finanziamento pubblico adeguato: la riforma deve essere sostenuta dalla fiscalità generale e deve esserci il governo pubblico dei processi che sono prefigurati.
Rimane l’importanza di questo sforzo di elaborazione condotto da molte realtà della società civile, anche se vi è la consapevolezza che la strada è ancora lunga per giungere a una reale innovazione basata sulla salute come progetto comunitario, soprattutto se pensiamo alle premesse che stanno guidando il nostro progetto associativo (espresse sia nel documento fondativo che nei diversi documenti che prefigurano una comunità che si riconosce in un disegno condiviso e si prende cura dei suoi membri partendo dagli ultimi).
Per questo, senza disconfermare il lavoro del Patto, vogliamo richiamare le cose che ci sembrano ancora da sviluppare e rafforzare:
- le due visioni, sanitaria e sociale, costruite e mantenute separate (come la legge peraltro prevede) non aiutano nella definizione di percorsi di sostegno alle persone fragili. I bisogni (come anche le risorse) non possono essere letti in modo separato e frammentato. Realismo ha voluto che non si ponesse questo aspetto come discriminante; se ne prende atto ma ciò rende molto difficile un cambiamento di paradigma. È convinzione diffusa che questa frammentazione sia alla base di evidenti disuguaglianze nei sistemi di garanzia.
- Conseguenza della visione separata di sociale e sanitario è anche una difficoltà alla relazione di cura: è facile considerare il problema (con sguardi parziali) e non la persona nella sua interezza di bisogno e risorsa, parte integrante della relazione stessa e protagonista del proprio progetto di salute.
- Il tema della domiciliarità occorre che vada oltre una logica “prestazionistica”, poiché il sostegno a questa viene ancora affidato agli attuali servizi SAD e ADI seppure potenziati e il SAD prefigurato come livello essenziale, passaggi necessari ma non sufficienti perché separati e rispondenti a logiche differenti. E c’è da approfondire anche il collegamento tra le diverse opzioni offerte nelle situazioni di fragilità (dal domicilio alla residenzialità protetta) riconoscendo nel principio della domiciliarità quanto in termini di protezione sociale in relazione alla gravità.
- Occorre chiarire in modo inequivocabile che il SNA deve essere governato dalla Casa della Comunità, e cioè dal luogo nel quale la presa in cura è coordinata come servizio pubblico e attuata operativamente dalla stessa, essendo luogo nel quale il Distretto Sociale e quello Sanitario operano congiuntamente e unitariamente, anche sul piano dell’uso delle risorse disponibili.
- Ultimo aspetto riguarda le valutazioni della non autosufficienza, che restano due (come sono ora), mantenendo le attuali peregrinazioni degli utenti in diversi momenti e sedi di valutazione: occorre unificarle.
Sono ambiti di riflessione importanti: abbiamo ritenuto utile proporveli prima della lettura del documento finale del patto per la riforma della non autosufficienza. Vale la pena tenerli presenti perché il cammino è ancora lungo e ora serve esserci nel dibattito politico e parlamentare che dovrebbe dare seguito al processo riformatore.